Italo Svevo coltivò la sua passione per la letteratura cominciando a collaborare con la redazione di giornali triestini e scrivendo racconti prima di dedicarsi alla strada del romanzo. Non fu uno scrittore "professionista", ma si avvicinò alla letteratura come "dilettante", più per pura passione che per ottenerne prestigio o successo.
Dal punto di vista letterario, la Trieste austro-ungarica di Italo Svevo, caratterizzata da un forte irredentismo, appariva più legata alla civiltà mitteleuropea che alle correnti letterarie italiane del tempo.
Contemporaneo di D'Annunzio e Pirandello, arrivarono tutti e tre maturi al Novecento, pur partecipando in modo del tutto diverso e personale alla spinta di rinnovamento che caratterizzò il nuovo secolo.
Dopo l'insuccesso dei primi due romanzi, "Una vita" (1892) e "Senilità" (1898), disilluso da questa attività che non lo aveva ripagato in alcun modo del suo lavoro e della sua passione (dopo il fiasco di "Senilità" dirà "Ho eliminato dalla mia vita quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura"), costretto al silenzio viaggiò molto per l'Europa, occupandosi degli affari della ditta del suocero e rivelandosi un attento e ferrato imprenditore; tornò al vecchio amore per la letteratura solo dopo la fine della Prima guerra mondiale, ma avvicinandosi al romanzo in modo del tutto innovativo rispetto al passato. Con "La coscienza di Zeno" riscosse un insperato successo di critica e di pubblico, ma non ebbe molto tempo per assaporare il gusto di questa soddisfazione personale, in quanto nel 1928 morì a seguito di un incidente stradale che aggravò la sua già precaria situazione cardiaca.
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