Nella seconda metà dell’800 si sviluppò in Francia una corrente culturale destinata ad influire su tutta la letteratura del 900: il Decadentismo, il cui maggior teorico puo' essere considerato Paul Verlaine.
All'inizio del XX secolo lo scrittore entra in crisi familiare vedendo fallire i propri obiettivi di guida che aveva durante il Romanticismo e nel poter risolvere i mali della società. Si sente emarginato e si ripiega in se stesso divenendo protagonista di una serie di esperienze che lo fanno sentire "vittima" per la sua incapacità di impegnarsi nella società. Gli artisti perdono così la loro fiducia nella ragione e si lanciano verso un mondo misterioso che si trova dietro lo sportello della realtà vera e tra loro si diffonde un senso di sconfitta.
In Italia si è soliti individuare due periodi distinti di decadentismo: il primo, di cui facevano parte D'Annunzio, Pascoli e Fogazzaro, ancora caratterizzato dalla necessità di costruire miti decadenti. Al contrario nel secondo, di cui occorre ricordare in particolare Pirandello, Svevo e Siciliani, la coscienza della crisi è ormai acquisita e la realtà viene sottoposta ad una critica molto lucida e distruttiva.
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Il termine "Decadente" fu, in origine usato in senso dispregiativo, per indicare giovani poeti che vivevano fuori dalle norme comuni, considerati appunto simboli di una "decadenza sociale" che disprezzava il progresso e la fede nella scienza del positivismo. Più tardi passò a designare la dilagante "decadenza" della società materialista di fine secolo, orientata verso l'esaltazione delle conquiste tecnologiche e alla quale gli intellettuali si sentivano estranei. Essi, infatti, si considerano decadenti, con un atteggiamento di superiorità spirituale, in quanto inclini a cogliere i segni della raffinatezza e dell'eleganza intellettuale delle epoche e periodi di "decadenza" rispetto al normale.
Brano in parte tratto da Wikipedia (licenza CC BY-SA 3.0)
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